Il progetto: afferrare parole di luce

La ricerca storica delle poetiche e delle pratiche della luce in scena pone lo studioso di fronte ad un nodo mai affrontato dalla storiografia teatrale: quello della mobilità delle definizioni e dell’incertezza terminologica nell’esprimere le concezioni, le tecniche, le condizioni materiali che regolano la creazione dell’illuminazione scenica, ovvero del coefficiente spettacolare più immateriale e insieme più condizionato da fattori materiali. A che cosa corrispondono le parole della luce, nel pensiero e nelle pratiche della luce in scena? Il progetto muove dall’esigenza di ripartire dalle parole che la definiscono.

Dire Luce esprime sin dalla sua formulazione la sfida alla quale è chiamato il linguaggio di fronte al manifestarsi della luce; la stessa suggestiva espressione, presa a prestito da una raccolta di scritti di María Zambrano[1], mette a segno l’urgenza, e insieme l’arresto, di fronte al nominare e definire le “cose” che la riguardano; si tratta di una questione a nostro avviso cruciale nell’approccio, tanto storico che estetico, alle riflessioni, ricerche, pratiche sulla luce; che si connota da un lato per fluidità e inafferrabilità, dall’altro per la sua materialità: entro questi due poli si situano le riflessioni contemporanee sul fenomeno luminoso. Materiale e immateriale, visibile e invisibile, presenza e assenza: sono binomi ricorrenti nelle poetiche del contemporaneo (dall’estetica alle arti visive e performative, all’iconologia alla filmologia). E corrispondono effettivamente alla peculiarità dell’‘oggetto’ luce. Crediamo che questa liquida ambiguità si rifletta nella fluidità del linguaggio chiamato a darne conto.

Ma in concreto, è possibile fare di tale indecidibilità un oggetto di studio cercando di “fare chiaro” nell’intrigo della terminologia impiegata in ambito artistico e con particolare attenzione alle arti performative? Sulla base della casistica affiorata nel corso di ricerche già avviate da anni, spinti dall’incertezza lessicale che esse rivelano, siamo convinti che da un lavoro di analisi, contestualizzazione, comparazione delle definizioni di dispositivi, tecniche ed “effetti”, delle figure professionali, delle dinamiche progettuali, si possa giungere ad “illuminare” nodi essenziali delle poetiche e delle concezioni artistiche e drammaturgiche della luce, nel fertile dialogo tra differenti linguaggi artistici.

Vale la pena precisare che si tratta di uno dei linguaggi meno frequentati dagli studi teatrologici, non solo per l’aspetto specifico della terminologia; e ciò inspiegabilmente, dato che la luce è fondamento della stessa visione, oltre che della visibilità; elemento costitutivo di ogni esperienza performativa. Forse proprio la sua macroscopica evidenza ha fatto sì che lo si sia dato per scontato, e che per lungo tempo gli storici non abbiano debitamente trattato la luce come materia da plasmare, oggetto di creazione al pari degli altri coefficienti scenici. Solo negli ultimi due decenni – fatte salve rare eccezioni – il pensiero e la creazione della luce in scena hanno cominciato a ricevere una certa attenzione (cfr. Luce in scena e teatrologia: stato dell’arte).

Finalità del progetto Dire Luce è l’elaborazione di un lessico della luce, che è coinciso con la realizzazione di un data base; nello specifico dell’illuminazione e delle sue pratiche in ambito spettacolare (dove si intende lo spettacolo come sintesi dei diversi linguaggi che lo compongono: scrittura drammaturgica, gestuale, sonora, luminosa). Ma la ricerca non ha potuto fare a meno dell’apporto e della comparazione con ambiti disciplinari contigui: questo oggetto di studio poco indagato richiede infatti, più di altri, di attingere dati da fenomeni extra-spettacolari e dai loro rispettivi contesti. Si è partiti da discipline imprescindibili per i loro strettissimi legami con le arti performative e nelle quali il linguaggio della luce è altrettanto fondativo: le arti visive, la fotografia, il cinema. A queste aree corrispondono le competenze dei componenti il gruppo di ricerca. Tuttavia la struttura del data base e la griglia concettuale e tematica del progetto sono stati messi a punto tenendo conto di ulteriori apporti: imprescindibili quelli dagli ambiti della musica, dell’estetica, della linguistica e auspicabili quelli provenienti dalla critica letteraria, dalla semiotica, dall’architettura, dal design. Senza contare gli inevitabili sconfinamenti nei territori linguistici delle ‘scienze dure’. La stessa prospettiva vale per le aree linguistiche contemplate: se ad ora sono rappresentate alcune aree (dell’italiano, francese, inglese, portoghese, portoghese brasiliano, tedesco, necessariamente declinate nello specifico della nostra disciplina di studio), in un auspicabile prosieguo si spera di poter ampliare il gruppo di lavoro in modo da includervi competenze linguistiche maggiormente diversificate. Anche in tal senso la messa a punto dello strumento informatico ha previsto l’ampliamento a ulteriori territori linguistici (tenendo conto anche di fonti già individuate che andranno prese in considerazione).

In tal senso si conta anche sul coinvolgimento di tutte le persone interessate, che potranno inviare segnalazioni utilizzando l’apposito form.

Le parole alle quali si ispira il titolo del progetto non sono solamente un omaggio a María Zambrano, ma prendono spunto da qualità intrinseche al suo pensiero. Se genericamente la ricerca indaga la relazione tra le parole e i fenomeni che si danno come immagine, si può rilevare un’altra consonanza con la modalità dello sguardo critico della filosofa, e cioè il fatto che il suo pensiero nasca da un confronto diretto con opere e artisti. La ricerca infatti si innerva da un lato sul dialogo con testi capisaldo delle teoresi sceniche sulla luce, riletti nell’ottica di far affiorare termini e definizioni, di verificarne l’espressione originale nel caso di testi tradotti, di confrontarla con altre fonti e altre discipline; dall’altro lato prevede il confronto costante con gli artisti e gli operatori che “agiscono” la luce come poetica e come pratica. Quando infatti un artista si confronta con i concetti di “luce atmosferica”, di “pittura di luce”, di “sinfonia visiva”, di “partitura di luce”, a che cosa si riferisce, ad un effetto che prevede una tecnica precisa, ad una concezione? Ha in mente una tradizione di riferimento? Confrontandosi con le parole che sono all’opera nell’esperienza del fare artistico, lo studioso può contestualizzare e distinguere a seconda dell’evoluzione di tale espressione nel corso delle epoche.

Oltre allo studio delle fonti quindi, strumenti importanti della ricerca costituiscono seminari, incontri e laboratori, condotti da professionisti della luce nell’ambito del teatro, del cinema, delle arti visive. In tali occasioni il gruppo di lavoro registra e vaglia l’apporto in prospettiva dell’obiettivo del progetto (terminologia, contestualizzazione, comparazione) nell’ottica di far dialogare l’ambito storico e storiografico e quello della creazione contemporanea.

Uno dei tratti essenziali del progetto è il dialogo tra queste diverse competenze, ma anche tra diverse tipologie di fonti per la ricerca. Si configurano così due principali ‘attori’ in relazione dinamica all’interno del progetto: gli studiosi che prendono in esame le fonti storiche (a seconda della propria area di ricerca) e si incaricano di vagliare e sistematizzare le occorrenze linguistiche e la loro corrispondenza con le pratiche sceniche e artistiche. Gli artisti e i professionisti del settore che offrono casi di studio relativi alle pratiche contemporanee, ma che sono anche la memoria vivente del nostro passato recente. 

Lo studio, l’analisi e il confronto tra queste eterogenee tipologie di fonti sta costituendo il cuore del lessico della luce. Il data base entro cui strutturare e articolare la topografia delle parole che definiscono il fenomeno luminoso si offre come strumento per precisare la terminologia in relazione ai singoli contesti, correggere, indicare nuove possibilità interpretative di definizioni tramandate dalla tradizione alle quali non corrisponde in realtà una pratica individuata con certezza.

Per offrire un esempio tra i più complessi da districare, si pensi alla quantità di implicazioni tecniche e artistiche di un campo semantico come “proiezione”, punto di convergenza di uno spettro amplissimo di concezioni e di pratiche (e dell’aggettivo e dispositivo corrispondenti, proiettivo e “proiettore”, che già tecnicamente indicano strumenti molteplici). O alle elementari definizioni di luce diffusa, luce diretta, luce riflessa, luce atmosferica, o a dispositivi come panorama, ciclorama, diorama: tutti termini che mutano significato o implicazioni a seconda di epoche e contesti. Basti inoltre pensare al fatto che la stessa arte di orchestrare la luce in scena non ha mai trovato una definizione univoca e stabile, rivelando invece un articolato ventaglio di espressioni, che non sempre distinguono il versante tecnico da quello creativo.

Luogo operativo e di riflessione, i seminari e i laboratori sono contemporaneamente occasione di presentazione pubblica e  di diffusione del progetto, anche al fine di instaurare nuove collaborazioni. Concreto punto d’appoggio e di confronto del progetto e per le sue future evoluzioni è il Laboratoire Ceac (Centre d’Étude des Arts Contemporains, Université Lille3), al quale è associata la responsabile di Dire Luce, Cristina Grazioli, che insieme a Véronique Perruchon dirige il progetto Lumière de Spectacle


[1] María Zambrano, Dire Luce. Scritti sulla pittura, a cura di Carmen Del Valle, presentazione di Davide Rondoni, Rizzoli, Milano 2013.